Niccolò di Bernardo dei Machiavelli è, a buon diritto, riconosciuto a livello universale come il fondatore della scienza politica, quella, che in nome della ‘ ragion di stato’ e per ‘il fine che giustifica i mezzi’, si legittima sia il diritto-dovere dell’intraprendenza per chi governa e sia anche il permesso del ricorso anche alla spregiudicatezza nella declinazione delle regole della convivenza.
Giulio Andreotti, visse più di quattro secoli dopo e senza ricorrere ad alcun trattato, anticipando la modernità ha coniato il ‘twitter’, che per la salute dei governi, è sicuramente ‘meglio il tirare a campare’ che non rischiare di ‘ tirare le cuoia’. Il ‘Divo Giulio’, ha fatto scuola e proseliti tra i posteri del Bel Paese, che indipendentemente dalle loro origini e premesse ideologiche, una volta arrivati a governare, hanno declinato il pensiero del maestro, con la differenza, che nei loro confronti il giudizio è stato assai meno sprezzante di quello dedicato ad Andreotti.
Di Andreotti sentiremo ancora parlare nei prossimi giorni, i figli con un coraggio probabilmente controllato, sembrano hanno deciso di rendere pubblico l’archivio privato dell’augusto padre, nel frattempo tutti noi siamo vittime del continuo tirare a campare dei governi che si succedono e a tirare le cuoia toccherà alle generazioni future.
Da qualunque prospettiva la si guardi, la nostra politica non dismette di dare l’immagine di essere concentrata su sé stessa e che agisca solo per sé stessa; in una ipotetica classifica tra i partiti presenti in Parlamento, il primo posto non può che essere assegnato al post rivoluzionario Movimento 5 Stelle, il più impegnato nell’illudere che per distogliere da quel ‘per se stessi’ si debba distrarre il popolo col dilemma ‘Barabba o Gesù’, con il sistema delle punizioni sanzionatrici nei confronti di chiunque sia da loro considerato un privilegiato, ovvero membro di una casta. Da sempre, il ricorso all’ariete della demonizzazione è il mezzo a cui ricorrono i radicalismi, sia di destra e sia di sinistra, il cui fine comune, è quello di creare diaframmi che impediscano la constatazione dello stato d’impreparazione della rappresentanza politica, nell’affrontare il nodo delle riforme, e la prassi consolidata di non voler nuocere ai propri sodali-elettori. Fenomeno ampliatosi in un Parlamento, per dirla con Calenda, sempre più popolato da criceti d’allevamento.
In uno scenario spaventato dalla contagiosità della pandemia, la paura induce a privilegiare la comparsa di convinzioni e atteggiamenti presociali, quelli per cui il tempo della vita debba essere considerato come un solo fattore privato, concezione che configura gli scenari in cui i conservatorismi più sfrenati diventano dominanti nonché fucina per le più svariate forme di egoismo, con cui una certa declinazione si distingue per il lisciarne il pelo, Trump negli USA e Salvini in Italia, ne sono probabilmente i due attori protagonisti.
Il fine comune delle due fazioni, quella radicale e quella dei lisciatori di pelo, è d’intorpidire le coscienze per svilire i valori e le funzionalità delle declinazioni della ‘democrazia liberale’, con l’obiettivo del ridimensionamento logorandone se non tentando di rimuoverne i ‘vincoli immunitari’, per esporle alla permeabilità di ogni scorreria, spesso giustificata da presunti stati di necessità o dal doversi trasformare in ossequio alle nuove regole che dovrebbero essere imposte dalla rivoluzione tecnologica, vedasi Casaleggio.
Max Weber, il padre della moderna sociologia, definiva lo Stato come una comunità che nell’ambito del proprio territorio di riferimento, ascriveva a sé stessa il ‘monopolio dell’uso della forza legittima’, e nell’ascriversela non poteva assimilarla ad una ‘scrittura intangibile’ ma che doveva perseguire nel tempo la legittimazione dei suoi poteri in un costante equilibrio tra il rapporto di libertà individuale e gli obblighi e le responsabilità nei confronti dell’intera comunità. Nell’evoluzione storica di questo pensiero, parafrasando Churchill, la concezione dello Stato in chiave ‘liberale’, se non è riuscita a generare la felicità per tutti, è senza dubbio quella che nel tempo ci ha preservato da guai maggiori.
Le democrazie liberali, pur non essendo esenti da contraddizioni, poggiano sul fondamentale pilastro del principio di protezione dalla dittatura della maggioranza, principio inderogabile per una democrazia liberale. Un principio, che pur nella complessità della stagione della Prima Repubblica, è stato salvaguardato sino agli anni Novanta, soprattutto per il ruolo centrale, che nella nostra democrazia di allora esercitava il Parlamento, luogo in cui le pluralità riuscivano a trovare sintesi condivise, per produrre leggi di riforma, non molte in verità ma alcune significative, che costituiscono ancor oggi un punto di riferimento per il nostro sistema.
E’ a partire dalla ‘strage dei colpevoli’, che il sistema inizia a compromettersi, a iniziare, è il sistema giudiziario, con l’accantonamento del requisito dell’ indipendenza da impropri condizionamenti del potere e soprattutto del contropotere per l’enfasi della pressione poli mediatica, dando così la stura ad un ‘processo’ con il quale incominciano ad alterarsi i principi fondamentali della democrazia liberale. E’ un’alterazione che penetra nella declinazione della politica e nelle istituzioni prefigurando la legittimazione del ‘diritto’ della dittatura delle maggioranze e del loro interprete e profeta e di converso, il ‘dovere’ della loro delegittimazione da parte di chi si trova all’opposizione, una giostra che caratterizzerà la politica nell’ultimo quarto di secolo, recitata ricorrendo ad un comune spartito, la maggioranza, se non vuole rischiare di dover tirare le cuoia, deve fare proprio il principio andreottiano, trasferire ai posteri il dover evitare di tirare le cuoia.
Il referendum per la riduzione del numero dei parlamentari è la conseguenza del processo di tirare a campare, indispensabile nei contesti dominati dall’assenza del coraggio per affrontare il nodo delle riforme ‘scomode’, quelle che potrebbero minare le sodalità pregresse e quelle in attesa. Un percorso corroborato dalla ricerca, ai fini di denuncia, di presunti capri espiatori, coinvolgendo le istituzioni, da giudicarsi non più per la loro corrispondenza alle dinamiche sociali, bensì per il loro costo, e per meglio poterlo fare le si popolano, per dirla con Calenda, di ‘criceti ’ d’allevamento proni e pronti al suono del pifferaio magico. Oggi tocca ai due rami del Parlamento, il cui ridimensionamento lineare in termini di composizione è coerente col processo in atto di fuga del potere dal Parlamento.
Il costituzionalista Azzariti, fa notare che le due istituzioni parlamentari che funzionano meglio nel globo, sono il Senato degli Stati Uniti, composto da 100 Senatori e la Camera Bassa della Germania, 700 componenti, i numeri sono quindi sono assolutamente ininfluenti salvo che non debbano essere funzionali per un disegno di modifica dell’intero sistema delle regole. Infatti, riducendo il numero dei ‘criceti’, non se ne aumenta l’autorevolezza, bensì solo la velocità di risposta al suono del piffero.
La riduzione del numero dei parlamentari senza affrontare l’anomalia tutta nostrana del bicameralismo sovrapposto, nonché la coerenza dell’adozione del modello elettorale, è una mera manfrina ad effetto emotivo, soprattutto allorquando il vero nodo critico è quello della rappresentanza.
In un sistema democratico, qualsiasi articolazione per collegio o pretesa di lista bloccata che non prorompa dal basso, è il grimaldello usato dal pifferaio per poter continuare a tirare a campare, per riaffermare la dittatura della maggioranza, ideologizzando o cercando di trasformare nel presupposto del voto di scambio il confronto elettorale.
Il vantaggio competitivo del Sì, rafforzato dal clima in cui lo si espone, dalla deprivazione di ogni approfondimento su conseguenze e impatti, vedasi ad esempio elezione del Presidente della Repubblica e relativo ruolo di garanzia, è un dato scontato, ma i termini della sua affermazione non possono indurre ad attente riflessioni. Se il Sì, non fosse suffragato da una consistente partecipazione dei cittadini e nonché il contro bilanciamento di un consistente No, verrà a significarsi che il Paese ha ancora gli anticorpi, in grado di reagire ad ogni tentativo di manomissione del sistema democratico.
Il Referendum coincidente con le elezioni per il rinnovo dei consigli regionali e comunali rischia d’inquinarle, sottraendole dalla corretta valutazione di come sono state governate e come dovranno essere governate. Nella nostra area metropolitana, nei comuni di Cologno Monzese, Corsico, Legano e Segrate nonché in altri minori, diventa priorità fermare l’integralismo che emana dalla Regione, un integralismo finalizzato alla promozione di nuovi e conversazione di vecchi criceti, funzionali alla manomissione della democrazia.