Quando si tiene a battesimo una “cosa nuova politica” si dice non si dice e si lascia ad intendere. Come vedremo. Eppure, la milanesità di fondo ha dato maggior valore sul resto. Aggirandosi al “MegaWatt si ausculta “Uè, questo vostro Parisi, l’è propri de Milan!”Talché: “Ue’, questo vostro Parisi, l’è propri de Milan!”. Infatti, all’irresistibile tendenza, soprattutto mediatica, di classificare geograficamente un protagonista della politica, perché come voi ben sapete Stefano Parisi non è un ambrosiano doc, anzi. Innanzitutto il “dire” o il fare: la conferenza programmatica ha confermato e preso atto di un dato: l’auto candidatura di Parisi alla leadership. Di chi, di che cosa? Si dice, e l’ha ripetuto l’interessato, del centrodestra unito nel solco dell’eredità rianimata-rinnovata della rivoluzione liberale 1994. Peccato che da Pontida un irrefrenabilmente antagonista, Matteo Salvini, abbia chiarito di poter fare a meno dell’antica alleanza, di poter fare, addirittura, da solo perché “a Milano c’erano le mummie”. L’alleanza, che oggi non appare nemmeno così scontata ma pur sempre con una preponderante presenza di “moderati”, necessita di una leadership moderata, e quella di Salvini non è per nulla moderata. Quella di Parisi con la sua Opa lanciata sul centrodestra è, tuttavia, una scommessa. Lo è nella misura e nella dimensione nelle quali si collocano certe sue promesse, soprattutto quelle per dir così accennate, interlineari, esposte come incisi, lasciate cadere come intermezzi, anche se si trattava sempre di questioni grosse: l’Europa di oggi, la questione di una politica bisognosa di “esperti” (voleva dire di professionisti ma ha tirato il freno a mano), la polemica col grillismo con l’onestà come slogan e l’incapacità come risultato, il rapporto fra politica e magistratura con l’accenno non poco critico a Raffaele Cantone, il confronto con tutti, e quel riferimento al golpe che non c’è stato, anche perché, osserviamo “en passant”, l’eliminazione di Berlusconi è stata preparata e attuata a tavolino, scientificamente, lucidamente, come solo la sinistra sa fare.
Parisi è un leader che vuole infondere certezze, dopo anni di stasi e di declino. Ma è anche un politico che sa offrire ai suoi interlocutori una piattaforma larga, accessibile e non divisiva, persino con i non pochi amici e seguaci, molti del mondo di Confindustria come Marchetti e De Benedetti (fratello), che sono per i “Sì” al referendum. E non è da poco in un Paese politico in preda a un populismo giustizialista che impone un linguaggio tanto violento quanto antipolitico, con Beppe Grillo che ringrazia. Il nome, la storia di Berlusconi restano, eccome. E Parisi ben sa che il problema è se il suo supporto incondizionato continuerà. Ma Parisi sa anche che questo non basta, che è importante ma non sufficiente per costruire, far crescere, imporre al centrodestra o come si chiamerà e, soprattutto, al Paese una candidatura, una leadership credibile, senza tuttavia e per ora, entrare in conflitto-competizione con l’establishment del centrodestra, avendo tra l’altro nel suo profilo l’idoneità a contrastare la figura dell’attuale Premier. E questa è la scommessa più impegnativa. La vincerà Parisi? Intanto, è l’unico che può]]>