Di una persona coraggiosa si dice normalmente che ha ‘fegato’, per gli antichi greci, il fegato era la ‘sede’ della forza, della caparbietà, delle passioni. Oggi, di fronte a una gestione del potere, più che mai espressione della diffusa cultura misogina declinata, in forma perentoria da leader che privilegiano l’azzardo in proiezioni a breve termine, elezioni europee, il Paese rimane sconcertato, prigioniero dei propri drammi e contraddizioni e fatica a comprendere le possibili vie d’uscita e si adatta: ‘peggio di così non può andare’.
Che i veri protagonisti della tutela della Costituzione, oggi ne facciano strame, pare non rappresentare un ossimoro per il popolo che votò No al referendum costituzionale, così come non preoccupa che il Consiglio dei Ministri, a partire dal suo Presidente in testa si stiano configurando come istituzione e figure istituzionali, a pressoché nulla responsabilità (Art.95 della Costituzione), abilitate solo alla ratifica delle decisioni, precedentemente concordare dai due vice primi ministri; ciò che preme al ‘popolo’ è solo quell’assenza di fare, che disattende le aspettative elettorali, purtroppo sprovviste di quella ‘trascurabile’ indicazione del dove e come trovare le risorse e che ora sono diventate la madre di tutti i problemi.
Il popolo è costantemente distratto da uno stile informativo improntato al sarcasmo e all’arroganza, controproducente per la ricerca e la conoscenza delle verità, delle soluzioni possibili e delle relative conseguenze individuali e collettive, sia nel breve che nel lungo periodo. La gente fatica così a rendersi conto della realtà di un Paese attraversato da esigenze e priorità differenti, e finisce per cadere nel trabocchetto del dualismo: tra l’ideologizzazione delle banalità e la proposizione di capri espiatori, presunti o immaginari responsabili di ogni inattuabilità.
Non è facile o non è ancora maturata la presa d’atto ‘di essere governati male, con metodi pessimi, da ministri disattenti e persino indifferenti al benessere della collettività’, un esempio per tutti, la gestione del dramma del ponte Morandi di Genova, e come ci si appresti ad affrontare i rischi di una recessione e, per converso, l’avvicinarsi a grande velocità della 4° rivoluzione industriale e tecnologica, che sta già provocando diatribe internazionali che non potranno che avere ricadute sull’Europa e sul nostro futuro.
Gli antidoti che proposti, assomigliano sempre più a quelli che hanno dato origine al nostro grande debito pubblico, governo e ministri parlano troppo e usualmente in favore di propaganda, con un eccesso di agitazione, dando dimostrazione d’incapacità di mediazione e di essere restii al ricorso dell’esperienza e soprattutto, per quel grosso debito che abbiamo sulle spalle, si permettono il lusso di sbagliare gli interlocutori, ricercandoli ini quei Paesi nazionalisti, che proprio per gli aspetti economici, sono i nostri primi concorrenti, tralasciando la ricerca di alleanze e comprensione tra quelli per noi strategici: Germania, Francia e Spagna, che con pochi altri, costituiscono il ‘kernel’ dell’Unione Europea.
I ‘reagenti istituzionali’, i partiti di opposizione e i sindacati, sembrano non pervenuti, dando conferma di un imbarazzante iato con la popolazione e con i lavoratori; è assolutamente ingiustificabile l’alibi di una distrazione da congressi, che, per come sono impostati, appaiono risultare asimmetrici, rispetto alle esigenze della quotidianità della gente. Qualcosa finalmente pare muoversi, le associazioni artigiane del Nord si sono autoconvocate per il giorno 13 Dicembre, a Milano, per manifestare il loro dissenso nei confronti della manovra economica del Governo e per le continue sue dissociazioni con l’Unione Europea.
Ciò che si muove però, avviene solo a valle dell’irriverente ma emblematica iniziativa delle così dette ‘sette madamin’, che con ‘fegato’ e tempestività hanno ridestato la Torino del fare, per lanciare la sfida: per Torino e da Torino, a sindachessa e Governo alle scelte che appaiono condizionate dall’ignoranza e ispirate dal pregiudizio nei confronti delle esigenze di sviluppo economico industriale di territori che si caratterizzano nel comparto manifatturiero per le peculiari caratteristiche di trasformazione di materie prime e semilavorati, i cui processi sono inevitabilmente impattati da esigenze prioritarie di mobilità territoriale e transnazionale. Nel contempo invece, viene anteposta la comprensione dell’infedeltà fiscale e l’acquiescenza per le aspettative assistenziali, una sorta di placebo per legittimare l’irresponsabilità civica a discapito delle risorse prioritarie per una società che dal presente, dovrebbe avere l’esigenza di sapersi proiettare nel futuro. Una proiezione la cui ‘dinamo’ è composta da: costante esigenza di conoscenze e formazione, di infrastrutture strategiche e funzionali, ‘infostrutture’, da declinarsi in modo condiviso con responsabilità e solidarietà civica, ciò che serve a tutela del lavoro.
Un’assimilabile dimostrazione di coraggio e di avvedutezza, ha ispirato la ‘performance’ di Katia Tarasconi, la consigliera regionale dell’Emilia Romagna, che alla recente assemblea del PD, ha denunciato la neghittosità con cui la sua classe dirigente, affronta i veri problemi della gente, nonché l’alterigia di un gruppo dirigente, la cui propensione appare essere solo quella della propria autotutela.
Con la manifestazione anti degrado della capitale, anch’essa originata al femminile, ma altrettanto irrituale, è a Torino, che si manifesta in toto la variazione di genere nel prendere l’iniziativa, una borghesia propositiva votata al fare che rifugge dagli stereotipi di una comunità più propensa alla forma e ai ruoli, che con inaspettato coraggio lancia la sfida, ricorrendo a una scenografia che proprio non le si addiceva, la piazza. Anche all’assemblea del PD, è una gentile signora borghese, che senza ricorrere alla retorica delle eroine del secolo scorso o a quella di genere, mostra il fegato per nel voler infrangere la liturgia del suo partito, mostrando l’ardire di mettere tutti di fronte alle loro responsabilità sia nei confronti dell’aspettative della gente comune, e sia nei confronti di un’uguaglianza adulterata persino nella allocazione logistica dei partecipanti.
‘Eppur se siamo donne, paura non ne abbiamo, per amor dei nostri figli in lega ci mettiamo’. Oilì e oilà.’, sono le popolarissime strofe, che cantavano le donne nella valle padana agli inizi del 900, mentre muoveva i primi passi la prima rivoluzione industriale e lo sfruttamento del capitale sul lavoro, ed in modo particolare quello nelle campagne sulle donne lavoratrici.
In una congiuntura politico istituzionale, per molti versi anche drammatica, l’irruzione del protagonismo femminile in un contesto assai più ampio di quello limitato ai ‘drammi’ di genere, è una più che positiva novità, soprattutto se s’intende porre in discussione la credibilità non ché l’affidabilità di quelli che si sono presentati come paladini del popolo, per combattere le élite, senza però rendersi conto, che le élites sono composte dai detentori del potere per governare la società e che ora si configurano con loro.
‘Per amor dei nostri figli’ recita la strofa, che non dà solo un senso di protezione ma anche di proiezione, quello che oggi, in una scenografia politica dai connotati misogini, è assolutamente sottostimata, e la politica si declina solo al presente e per l’immediato futuro. Che sia giunta l’ora per una declinazione politica improntata da leadership di genere diverso, che esuli dall’essere una concessione tattica di un presidio misogino, potrebbe rappresentare quella discontinuità che il Paese fatica a trovare.
Se Torino è stata la scintilla, lo capiremo presto, l’importante è ravvivarla con ottimismo e incoraggiarne emulazione ed evoluzione; Raggi e Appendino farebbe dire il contrario, ma il loro fallimento era insito proprio nella genesi delle loro candidature. Ciò che si sta muovendo oggi, può offrire una prospettiva diversa, che non va sottostimata; afferma il bancario preposto alla erogazione dei mutui ‘quando si presenta la coppia a richiedere il mutuo, lui chiede il tasso, lei invece l’ammontare della rata’.
Ecco oggi il Paese, più che della disputa sui tassi, dovrebbe essere reso edotto del costo della rata, di chi la pagherà oggi e chi la pagherà domani.
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