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Se l’Italia si ritrova sempre nel mirino di mercati e agenzie di rating nonostante le dimensioni della sua economia e l’avanzo primario è per due motivi: una crescita stentata e un debito pubblico colossale, con la conseguente spesa per interessi. Ma come, quando e perché si è formato questo macigno che pesa da trent’anni sulle nostre vite?
Quattro fasi di boom del debito Un interessante studio di Roberto Artoni, ex commissario Consob e docente emerito di Scienza delle finanze all’Università Bocconi di Milano, analizza l’andamento del rapporto debito-Pil individuando quattro fasi di impennata: le prime tre riassorbite nel giro di qualche anno, l’ultima (quella che stiamo vivendo da trent’anni) ormai cronica, nonostante gli sforzi compiuti
Il primo boom del debito italiano si verifica nel 1897, con la crisi economica di fine Ottocento, quando raggiunge il 117% del Pil nonostante un saldo primario positivo. Solo con la tumultuosa crescita economica del periodo giolittiano torna a scendere a quota 70% (nonostante le spese legate alla guerra di Libia). Le altre due impennate del debito si verificano durante i conflitti mondiali. Nel primo dopoguerra, in particolare, l’enorme debito contratto per lo sforzo bellico tocca il 160% del Pil, a livelli non lontani da quelli attuali della Grecia.
La Grande Guerra e il dopoguerra Come nota Artoni, il rapporto debito-Pil sale infatti dal 71% del 1913 al 99% del 1918, per poi impennarsi nel “biennio rosso” 1919-1920, raggiungendo il massimo storico di 160% nel 1920. Riuscire a ridurlo è un’impresa: quattro anni dopo è ancora al 142%. Solo con la sistemazione, o la cancellazione di fatto, dei debiti di guerra, oltre che con una rilevante caduta del debito interno, la seconda crisi di finanza pubblica viene superata.
La seconda guerra mondiale Gli effetti della crisi del 1929 e della Grande Depressione tornano a far gonfiare il debito portandolo all’88% del Pil nel 1934, con una spesa costante in termini nominali ma una rilevante diminuzione delle entrate. Nella seconda metà degli anni Trenta, tuttavia, il buon andamento economico consente al Regno d’Italia di ridurre il passivo al 79% del prodotto interno lordo, nonostante l’aumento delle spese militari. L’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale torna però ovviamente a gonfiare il debito, che raggiunge il 108% nel 1943. Negli ultimi due anni del conflitto e nell’immediato secondo dopoguerra un’inflazione spaventosa sbriciola il debito, riportando il rapporto con il Pil al 40% (nel 1946).
Vent’anni di debito ai minimi Nelle prime tre occasioni, quindi, inflazione e parziali ristrutturazioni del debito hanno contribuito a riportare la situazione sotto controllo: nel secondo dopoguerra il debito italiano si ritrova poco al di sopra del 20% del Pil. Ancora nel 1964, in pieno boom economico, quando l’economia italiana cresce in media del 5% annuo sostanzialmente senza inflazione, il rapporto debito-Pil si trova al 33%. Per quale motivo? Semplice: perché il costo del debito è inferiore al tasso di crescita e la politica fiscale si mantiene molto equilibrata, un po’ per scelta ma soprattutto per effetto del boom economico. «Se il debito aumenta ma aumenta anche la crescita non è un problema – spiega l’economista Alessandro Tentori, di AXA – perché il Paese può ripagarlo. Il problema si pone se la crescita nominale è più bassa del tasso dinteresse nominale sul debito perché, in questo caso, tende ad aumentare». Queste condizioni favorevoli continuano bene o male fino alla fine degli anni Sessanta. Attenzione però, perché nel 1968 il rapporto debito-Pil già è aumentato dal 33% di cinque anni prima al 41%, mentre emergono le prime tensioni finanziarie ed economiche, sia sul piano interno che su quello internazionale.
Il ventennio perduto del debito (1974-94) La quarta fase di boom del debito è quella di cui stiamo ancora pagando le conseguenze. «È il problema veramente aperto», sottolinea Artoni, visto che per la prima volta nella storia d’Italia non stiamo riuscendo a riassorbirlo. Gli sforzi non sono mancati: il nostro Paese è stato l’unico in Europa a chiudere in attivo (al netto degli interessi sul debito) 22 bilanci pubblici su 23 tra il 1995 e il 2017. Nel 2007 siamo riusciti a riportare il “mostro” al di sotto del confine del 100%, ma la Grande Crisi l’ha fatto ripiombare al di sopra del 130% del Pil. Zavorrati verso il fondo dalla spesa per interessi e da una crescita economica anemica, non riusciamo a uscire da questa palude del debito creata in un’altra epoca. Ma vediamo in dettaglio come si sono create le sabbie mobili nelle quali siamo imprigionati.
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