La speranza dell’arrivo di Godot, per la sinistra continentale, quella che si arroga la titolarità dei giusti accrediti, non viene mai meno. Dalla scomparsa di Lenin prima e di Mao Zedong poi, rari profeti hanno potuto essere assimilabili a Godot, l’ultimo, in ordine di tempo, è stato Jeremy Corbyn, il leader del Labour Party, il leader incoronato dall’anima operaia delle potenti Trade Union. Leader dall’indiscusso cipiglio ma soprattutto anche dall’eccessiva autostima nel poter suscitare empatia nonché nella scelta delle strategie da adottare, ha pensato bene che solo rispolverando l’antico decalogo, quello della rivoluzione industriale, si potesse far immaginare una Gran Bretagna migliore e meno ingiusta. Il Corbyn decalogo, aveva ridestato sospiri retorici, non tanto al popolo inglese, bensì nella nostra sinistra, più da salotto che di piazza, che contava sul successo di Jeremy, per rilanciarlo anche da noi, dove si soffre di eccessiva smemoratezza. Per la verità, anche nel nostro governo qualcuno tifava per lui. Non è andata proprio così, Corbyn-Godot non è potuto partire, la ‘working class’ del Nord, non gli riconosciuto le credenziali e gli ha voltato le spalle e per ironia della sorte le ha invece riconosciute al suo rivale Boris Johnson. Il buon Jeremy che ha sicuramente studiato Marx, ha sorvolato su Engels, che sviluppava le sue teorie, partendo dalla ricognizione della realtà, ma la sinistra d’antan, continua privilegiare il credere all’avverarsi delle vecchie profezie, piuttosto che affidarsi alla sociologia moderna, il cui rigore scientifico certifica i diversi contesti. Nel terzo millennio, le profezie hanno di attrattività, permangono i valori, la cui declinazione richiede consenso condiviso, ma, nell’attuale transizione a generare il consenso, è più la credibilità dell’attore protagonista, che non la coreografia della proposta politica. Lavoro, salute, criminalità e istruzione, sono stati i temi del confronto elettorale in Gran Bretagna, e con loro o meglio per la loro soluzione, la Brexit non poteva che essere era la premessa. Per Boris Johnson lo era senza se o ma, per Corbyn, lo sarebbe potuto diventare per Jeremy, e per renderlo credibile, l’aveva posta dietro il carico da novanta di promesse utopiche, che ha provocato, spavento a non pochi favorevoli del ‘remain’, che a Corbyn a dirla tutta, poco piaceva. Se al referendum sulla Brexit, la maggioranza, 52%, si era espressa per l’uscita, nel 2018, alle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo si era modificata in minoranza, dei 70 parlamentari eletti dalla Gran Bretagna la maggioranza era per il remain. Il clamoroso insuccesso dei conservatori alle elezioni europee, e relative conseguenze, ha portato al Governo, Boris Johnson, una leadership spregiudicata, che non si pone di rappresentare alcunché di valori, perché si propone per una declinazione della politica in modalità mercantile, per la cui attuazione, la Brexit è il fondamentale preambolo. Il mercato lo si fa meglio se lo si rivolge a una pluralità di soggetti, soprattutto se sono altrettanto plurali gl’interessi, sicurezza, commercio, difesa, finanza permettono di moltiplicare le soluzioni senza dover sottostare a vincoli di condivisione o di solidarietà. Già alle lezioni europee, il risultato elettorale del Labour Party, era stato assai negativo tanto che il partito venne superato, in termini di consensi, dai Liberal Party, assolutamente schierato pro UE. Ciò avrebbe dovuto convincere Corbyn a fare l’inequivocabile scelta da che parte schierarsi, invece ha proseguito nell’ambiguità, nonostante la maggioranza del partito invocasse di richiedere in tempi brevi, un secondo referendum pro veritate. Da spregiudicato ma astuto giocatore, Boris le ha prima tentate tutte, anche il tentativo della sospensione delle funzioni del Parlamento per il tempo necessario a sottoscrivere il divorzio, ma non essendogli riuscito il colpo ha tirato fuori dal cilindro, il coniglio delle elezioni anticipate, ma che per poterle ottenere era necessario disporre di un consenso maggioritario alla Camera dei Comuni, che però non aveva. L’assai meno lucido Jeremy, invece gliela concesse, il risultato è sotto gli occhi di tutti. Un Europa più debole, una Gran Bretagna, destinata a dover affrontare la vocazione d’indipendenza della Scozia, uscita più che mai rafforzata dalle elezioni, e da non trascurare anche l’Irlanda del Nord, sconvolta elettoralmente dalla vittoria dei cattolici sugli unionisti protestanti, con la possibilità di ripercussioni sulle aspirazioni di riunificazione degli irlandesi. Una Gran Bretagna a rischio di ritorno a Inghilterra, una UE, che per analogia possa subire il contagio della vocazione indipendentista per un ritorno alle identità. Un sensazionale risultato, che si aggiunge a quelli secolari della sinistra dei principi disancorati dalle realtà. Noi, in materia siamo esperti assai esperti, il Parlamento approverà a giorni con la legge di Bilancio, anche uno stanziamento di 400 milioni di Euro, per la celebrazione, nel 2021, del centenario della nascita del Partito Comunista Italiano. A tale proposito, non possiamo non confidare, che sia finalmente l’occasione per riflettere su quegli anni 21-22 del secolo scorso, per evidenziare le responsabilità dei Corbyn di allora, gli ‘influencer’ Bombaci e Bordiga che per la svolta fascista di allora, non poche responsabilità ebbero, a cominciare dalla fondazione del Partito Comunista Italiano. Per la sinistra aspettare ancora Godot sarebbe anacronistico, la banchina di attesa al binario è sempre meno affollata, ma i guai provocati da Corbyn, ‘coming soon’. Una speranza, ‘sardine’ girate al largo, evitate il contagio.
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