Ma non è sempre vero. Anzi, forse anche chi fa impresa sta cominciando a capire che se si investe nella riduzione dell’inquinamento e della povertà nel mondo, incentivando l’innovazione nell’agricoltura, e nella produzione energetica si potrebbe arrivare ad un mondo sostenibile e non troppo caldo. Lo evidenzia Wired nel suo articolo relazionando i lettori in merito a quanto accaduto nella Climate Week di New York City: una settimana dedicata al confronto tra governi, leader economici, organizzazioni no-profit ed esponenti della società civile sul problema del cambiamento climatico. Chi ne ha parlato è stato uno dei fondatori di Foundation Strategy Group uno dei più influenti gruppi di valutazione strategica, impatto sociale e filantropia a livello mondiale. Un gruppo che viene ascoltato seriamente dalle imprese mondiali e quindi il messaggio lanciato è arrivato- o perlomeno si spera- alle orecchie giuste.
Ma come si potrebbe fare?
Attraverso il valore condiviso o shared value che, a differenza della politica, le imprese possono realmente applicare sia perché conoscono a fondo le esigenze delle persone sia per una maggiore disponibilità di fondi rispetto ad altre realtà come le associazioni di volontariato o i governi. Affidandosi all’innovazione tecnologica a tutti i livelli, incentivandola con progetti finanziati, trovano quasi sicuramente delle soluzioni ai problemi della società e dell’ambiente. E non solo, questo processo, per essere valido, come sottolinea ancora l’articolo di Wired, e deve essere condiviso con tutti con un continuo scambio di esperienze e di conoscenza.
In Italia sarà un percorso non facile anche se la consapevolezza del problema esiste, ma siamo ancora ben lontani dell’applicazione di un processo partecipativo. Ci sono sporadici tentativi di dialogo attraverso, ad esempio, il bilancio partecipativo come ha fatto il Comune di Milano per il finanziamento di progetti proposti dalla cittadinanza o da associazioni radicate nel territorio o altre realtà più a misura d’uomo. A parole siamo disponibili ma poi nei fatti di pochissimo abbiamo cambiato le nostre abitudini. Un esempio che sembra banale, ma non lo è, sono i milioni(!) di mozziconi di sigarette abbandonati per le strade, che intasano le fognature e che incidono anche loro sul costo dell’acqua erogata. Costerebbe cosi poco portarsi dietro una scatolina di metallo, anche sfiziosa, dove spegnere le sigarette e poi vuotarle nel secco a casa.
Questo comportamento è in linea, con quanto evidenziato da un sondaggio effettuato da Legambiente qualche tempo fa e raccontato in un’articolo su Greenreport, rivista economica-ambientale on-line, dove la domanda era incentrata su quali siano le priorità percepite per il paese. I temi ambientali occupano solo il dodicesimo posto e questo è frutto anche di informazioni non corrette non gestite sia da parte dei media che dai politici.
In effetti risulta da quel sondaggio che gli italiani hanno un gran confusione in testa: da un lato a parole sono d’accordo con le fonti rinnovabili dall’altro le contestano. E pensare che i lavori verdi intesi come sostenibili risolverebbero, stando ai documenti dell’ONU, la disoccupazione.