Il prossimo 22 Ottobre, Maroni e Zaia, i due presidenti leghisti di Lombardia e Veneto intendono indire il referendum per l’autonomia della loro Regione; due consultazioni che sono state deliberate dai rispettivi Consigli Regionali, anche se con consensi tra loro non omogenei. Per la Regione Lombardia, la consultazione dovrà tenersi, previa decadenza, entro il 31 Dicembre 2017, ed il quesito referendario dovrebbe recitare:
‘Volete voi, che la Regione, nel quadro dell’unità nazionale intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato le attribuzioni di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti dell’Art. 116, 3° comma, con riferimento a ogni materiale legislativo per cui tale procedura sia ammessa’.Si tratta ovviamente di un testo che per i più non sarà di facile e immediata comprensione, lasciando così ampio spazio a strumentalizzazioni, speculazioni, illusioni e disillusioni che facilmente finiranno per aumentare il discredito popolare verso le nostre istituzioni, le Regioni in particolare, che con il Parlamento, condividono la non certo invidiabile ‘pole position’ di espressione della così detta casta. Ai Lombardi, escludendo l’autolesionismo di un NO, non resterebbe che andare a votare SI’ o di non recarsi alle urne, per un referendum consultivo che non ha e non può avere alcun effetto cogente. Che la questione dell’autonomia, sia ormai questione centrale è cosa sentita, soprattutto per i lombardi, le cui prerogative ed esigenze socio economiche, da tempo, sono assai diverse da quelle del Veneto e dalle altre regioni del Paese. Che poi la richiesta di autonomia sia delegata a un referendum popolare, non è altro che il segno di un’evidente crisi, sia della democrazia rappresentativa e sia della politica, e che a promuoverlo, a fini preelettorali, sia la Lega, che a livello nazionale ed europeo, con madame Le Pen, si faccia promotrice di un rapido ritorno al ‘sovranismo nazionale’ , alla fuori uscita dall’euro e dalla UE, non può che rappresentare un ossimoro se non una ‘presa per il culo’ per i lombardi, che di Europa, Cosmopolitismo e reciprocità internazionale ne fanno una necessità strategica. Considerare che le finalità espresse dai promotori del referendum si configurino come un’anomalia nel funzionamento della democrazia e del valore di rappresentatività delle istituzioni, lo indicano anche gli articoli 118 e 119 della Costituzione, che circoscrivono quanto richiamato, nel quesito referendario, con l’ Art. 116 ; Con l’ Art, 118 che recita: ‘Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze’ e successivamente con l’Art 119, ‘I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea’. In un sistema Paese, dove l’immobilità costituzionale fa premio con gli interessi corporativi, e dove i tentativi di sviluppo della suddivisione tra Stato e Autonomie, ha sinora funzionato più da volano per contrapposizioni che ingolfano la Corte Costituzionale, che non per benefici per i cittadini, l’esigenza di autonomia rischia o di annacquarsi e a ridursi a questioni di bottega. Il Governo in carica, anche per risolvere l’incompiuta dell’eliminazione delle Provincie, ha riaperto le porte per il dialogo e il confronto con le Regioni, e ha ragione, il Sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, nel derubricare la valenza del referendum, ‘è come chiedere mandato per suonare il citofono, quando la porta è aperta’.
Se la porta aperta, diventa però dirimente stabilire sul come entrare, sul che cosa andare a richiedere e soprattutto che cosa proporre, in quanto il battere cassa, in un Paese con un così alto debito, del quale le Regioni sono state nel tempo autorevoli contributrici, le cui conseguenze ricadono soprattutto sui comuni, è all’un tempo differenziante e dirimente. Battere cassa, per aumentare i trasferimenti alle Regioni, in coerenza con la percentuale di gettito fiscale generato in loco, senza peraltro indicarne i gestori, le finalità e i percettori rischia di essere mera espressione di un populismo istituzionale, soprattutto se non è accompagnata da un ridisegno virtuoso e razionale di trasformazione, in termini di produttività e funzionalità democratica dell’architettura istituzionale della nostra Regione.
Una trasformazione, non certo ipotizzata nel progetto referendario, indispensabile a prevenire condizionamenti, che nel tempo, l’allontanino dall’Europa e dal globo e sia soprattutto di ausilio per contribuire a invertire la rotta di un Paese, sempre più a rischio di allontanamento dagli scenari globali, a causa del preponderante condizionamento di corporazioni, conservatorismi e populismi strumentali. E’ di tutta evidenza che le diseguaglianze strutturali: del Paese e nel Paese, non si riducono mantenendo il livellamento verso il basso; Milano e la Lombardia, dopo il successo di Expo e grazie al valore competitivo che esprimono tramite i propri rilevanti ‘fattori critici’ che caratterizzano la loro ‘competitività plurima’, rappresentata dai sistemi: economico produttivo, sociale e solidale, di formazione e ricerca, di assistenza e cura, e per un contesto geografico ambientale tra i più attrattivi del vecchio continente e non solo. Sono i parametri economici che oggettivano il valore di questa ‘criticità positiva’ ,che emergono dai benchmark con gli altri territori quali: il tasso di crescita del Pil, i prodotti medi per ora lavorata, la produttività totale dei fattori, nonché il potenziale attrattivo: di capitali d’investimento, di formazione qualificante, di ambienti per sviluppare innovazione manifatturiera e qualità artigianale e la prossimità con un contesto culturale e naturale probabilmente unico che da Milano può dipanare. In questo confronto con l’Europa e in particolare con Francia e Germania, il nostro Paese evidenzia un forte ritardo, Milano e la Lombardia però no, ma non c’è tempo da perdere in autocompiacimenti, occorre la continuità e l’estensione del rinnovamento, pena il rischio di decadimento nel tempo, occorre il coraggio della discontinuità, le risorse non si possono solo ricercare o pretendere dai trasferimenti nazionali, o dal sostegno a progetti infrastrutturali finalizzati a creare valore socio economico, è più che mai indispensabile anche la rivisitazione sia delle regole sia delle istituzioni. I temi sul tavolo non sono pochi: le Regioni che sin qui hanno riprodotto un nuovo centralismo decisionale e operativo devono rientrare nell’alveo della loro missione costitutiva, la sovrabbondanza di comuni, istituzionalmente vincolati a ripetere le stesse cose a pochi metri o chilometri di distanza tra loro rischiano di essere più un vincolo che non un pregio per la democrazia, soprattutto se l’omogeneità delle esigenze di servizi deve trarre dalla produttività efficienza ed economicità. La visione geo-topografica riconduce sempre più a una virtualità di approccio, la cui ‘realtà’ è riconducibile solo alle norme e alla burocrazia, mentre il cosmopolitismo e le nuove esigenze che si vengono a creare, si caratterizzano nelle comunità sotto forma di mobilità individuale e collettiva si fonda sulla velocità di connessione, assunto ormai a nuovo parametro di misura delle distanze, e di servizi sempre più orientati alla persona. Nella vicina Francia, dove per quanto concerne l’architettura istituzionale a livello territoriale, il contesto è assai simile a quello italiano, il tema delle caratteristiche territoriali e della concorrenza tra istituzioni è stato affrontato e risolto, con la netta separazione di compiti e ruoli, con lo scopo di evitare i le discrezionalità che generano concorrenza o commistione, le città metropolitane sono state giustamente introdotte in modo diseguale, riconoscendo le diverse esigenze di missione e di maturità amministrativa; l’esorbitante numero di comuni da ridurre ricorrendo all’incentivo economico e di servizi, ricostruendo per ciascuna Istituzione territoriale la propria identità istituzionale, al fine di renderla sia responsabile che riconoscibile da parte della comunità.
Di un costoso referendum, quarantacinque milioni di Euro, la cui valenza effettiva può essere uguale a quella di un serio sondaggio di opinione, che costerebbe infinitamente meno, francamente non se ne sente il bisogno, soprattutto se lo scopo si riduce nel trattare un ‘gruzzolo’ per l’ampliamento del centralismo regionale, ostacolo alla centralità di ruolo dei comuni, che sono l’epicentro dei processi di cambiamento, e della Città metropolitana di Milano, che come direbbe il Leopardi, è stata sin qui considerata ‘negletta’, sia dallo Stato e soprattutto dalla regione Lombardia. Proprio la città metropolitana di Milano che insieme con gli altri grandi comuni lombardi, potrebbe avviare la sperimentazione di trasformazione innovativa per declinare un più funzionale rapporto tra municipi etra questi e la Regione.
Maroni chiede referendum: pleonastico, perché la porta è aperta, dannoso, perché la sua premessa si esaurisce in un modo vecchio e centralistico di intendere la ‘governance’ in Lombardia, e che qualora venisse imposto, non può che portare o all’astensione per inutilità o a votare SI’ per depotenziarlo, così come di fatto successe per il NO il 4 Dicembre. Per il civismo milanese e lombardo, libero da vincoli e condizionamenti centralisti, la questione centrale, non può che essere, l’indifferibile modernizzazione istituzionale della Lombardia, prerequisito per una comunità la cui diversità consiste nell’essere parte del globo e traino per il Paese, una diversità quindi declinata in positivo e antagonista di altre forme di distinzione, pericolose e da ridimensionare o comprimere.