La democrazia diretta è stata lasciata, a titolo gratuito, a un guitto. Il tema del rapporto tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa è antico e merita rispettosa attenzione, ma la natura aggressiva dell’attuale confronto politico ha portato i sostenitori della prima a contrapporsi a vicenda, come fossero antagoniste fra loro e non complementari; come se un serio progetto politico e una partecipazione consapevole dei cittadini non richiedesse un positivo e costruttivo rapporto tra le due modalità.
La questione venne affrontata con rigore alla fine degli anni ’70, chiudendo un’ampia discussione che si era sviluppata partendo da Quale democrazia di Norberto Bobbio. La risposta alla volontà di partecipazione diretta fu, allora, quella di non considerare valicabile il limite istituzionale alla democrazia diretta. Oggi non possiamo dare la stessa risposta di allora, in particolare per l’avvento della rete: ma la democrazia diretta, considerata come soluzione unica ed esclusiva di partecipazione istituzionale dei cittadini alla vita del Paese, potrebbe produrre – e ha già prodotto – la negazione della stessa democrazia. Essa, senza contrappesi rappresentati proprio dalla democrazia rappresentativa, è lo strumento privilegiato del populismo, dell’uomo solo al comando alla ricerca del consenso, senza la garanzia del rapporto dialettico che solo un parlamento eletto e libero può garantire. Si tratta quindi di cogliere le opportunità di partecipazione e di crescita che ogni strumento consente; di sfruttare le occasioni che la combinazione tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa può rappresentare. Oggi, istituzionalmente, l’unica attuazione di democrazia diretta prevista dal nostro ordinamento è quella consentita del referendum abrogativo.
Altra annotazione, complementare, è quella dell’autenticità dell’espressione di voto per ovviare al falso sempre latente in rete; cui si affianca il rischio di relegare la democrazia diretta in una sorta di “assemblea permanente” o ad un “sondaggio permanente”, forme queste sì paradossali, devianti e porte privilegiate per il totalitarismo mascherato dal consenso popolare.
Parimenti insufficiente è circoscrivere l’applicazione della democrazia diretta alla vita interna del partito. La politica aveva un tempo una funzione educativa, di avanguardia rispetto ad ogni altra manifestazione sociale: ora ne è la retroguardia e l’attuale vita dei partiti e l’approccio alla rete ne sono la conferma.
Quale potrebbe essere una prima risposta nella direzione della istituzionale partecipazione diretta dei cittadini alla vita del paese? Fuor di dubbio il referendum propositivo, soluzione non nuova che parte dalla Costituente, per passare alla Commissione D’Alema, e ad altri momenti di riflessione sulla riforma della Costituzione.
Così l’aspetto “nuovo”, da considerare come segno dei tempi, sarebbe costituito dal matrimonio con la rete, che permetterebbe una partecipazione popolare incanalata in strumenti democratici funzionali all’ordinamento, contenendo la tracimazione in espressioni distruttive ed oppositive tipiche del populismo. Si potrebbe proporre il referendum propositivo, contestualmente su due o più proposte di legge formulate direttamente dai cittadini o dal parlamento, utilizzando lo strumento informatico, con il voto espresso a mezzo posta certificata o altra modalità controllata di partecipazione diretta. Sarebbero però da escludere dai quesiti referendari materie quali i trattati internazionali o le questioni tributarie: la democrazia diretta potrebbe esprimersi attorno alle questioni cosiddette sensibili ed attinenti alla sfera personale.
Di certo una risposta allo tsunami della partecipazione diretta quale strumento privilegiato di espressione dei più giovani deve essere data senza ulteriore ritardo e senza cadere nel tranello del guitto autocandidatosi paladino della democrazia diretta; e risulta evidente come la contrapposizione della democrazia diretta verso quella rappresentativa si riveli perdente per la prima.
Una domanda (ma solo una curiosità che non avrà mai risposta): come sarebbe andato a finire il referendum costituzionale del dicembre 2016, con una nuova forma combinata di consultazione?