Ancora una volta New York, Londra e Parigi sono nell’ordine le città più “smart” al mondo. L’indice analizza il livello di sviluppo di 165 città di 80 paesi del mondo sulla base essenzialmente di nove caratteristiche ritenute fondamentali per una fotografia del modo di vivere nelle città: capitale umano, coesione sociale, economia, ambiente, governance, urbanistica, internazionalità, tecnologia e mobilità e trasporti.
All’interno di queste macro aree il numero di indicatori utilizzati quest’anno è stato notevolmente aumentato e l’analisi è stata arricchita con nuovi dati, ad esempio, il numero di attacchi terroristici, il numero di negozi Apple Store e il livello di conformità ISO 37120 (noto come lo Smart city standard).
Tra le città ai primi posti si confrontano Hong Kong e Toronto per l’ottava posizione, mentre Amsterdam cerca di scalzare Berlino al decimo posto.
Tutti dati che emergono dalla quinta edizione dello IESE Cities in Motion Index (CIMI), realizzato dal Center for Globalization and Strategy e riportata dal noto settimanale statunitense di economia e finanza Forbes.
Ma veniamo all’Italia. Tra le prime 50 città, Milano (45°) è quella che ha registrato il più grande balzo in avanti negli ultimi due anni, scalando ben 13 posizioni, quattro solo nell’ultimo anno (nel 2015 era in 58° posizione). La nostra città spicca soprattutto nell’area mobilità e trasporti posizionandosi in 16° posizione, ma ottiene valutazioni di tutto rispetto anche in settori fondamentali per la vita cittadina, quali la coesione sociale, l’area dell’economia (35°) e sul fronte del respiro internazionale (46°).
Da migliorare, secondo questa ricerca, è invece l’aspetto del capitale umano e della governance in cui la nostra città appare ancora in difficoltà rispetto agli standard europei ed internazionali.
Ma Milano non è l’unica città italiana presente in classifica: più indietro, al 66° posto, c’è Roma, poi Firenze (98°), Torino (106°) e Napoli (119°).
Tra le altre città che stanno scalando la vetta, Helsinki (22°) sale di nove posizioni grazie al miglioramento nelle aree di economia, coesione sociale e capitale umano; passi in avanti anche per Barcellona (26°) che guadagna otto posizione grazie alle voci coesione sociale ed economia. L’Europa, con 12 città tra le prime 25, è comunque ancora una volta l’area geografica meglio posizionata. Segue il Nord America, con sei città; l’Asia, con quattro (ma tutte nella top 10); e l’Oceania, con tre. Tokyo (4) è la città asiatica con il punteggio più alto e Melbourne (12) guida il gruppo dell’Oceania.
Come chiarisce molto bene l’indagine, soprattutto se leggiamo le tabelle tematiche ed il metodo con cui è stata condotta, appare complesso per una città trovare il giusto bilanciamento delle varie componenti in gioco. Difficile sembra, per esempio, combinare due dimensioni come mobilità/trasporto e ambiente e lo vediamo tutti giorni nella nostra esperienza cittadina.
Non solo, anche gli indicatori “potere economico” e “coesione sociale” sono davvero di difficile combinazione.
Tuttavia non possiamo che prendere questo lusinghiero risultato di Milano come un’ottima notizia che sancisce evidentemente un netto miglioramento della vita comune nella nostra città negli ultimi anni.
Pensiamo alle straordinarie migliorie architettoniche in vari quartieri (da Garibaldi a CityLife per fermarci agli esempi più noti), alla funzionalità dei mezzi pubblici, in particolare sotterranei con le nuove linee della metropolitana ed il passante, all’evoluzione rapidissima del car sharing e potremmo andare avanti in questo elenco virtuoso.
Certo, Milano, con le sue dimensioni e la sua complessità sociale, ha ancora da risolvere complessi problemi di vario tipo, in particolare legati al sistema delle periferie ed alla fatica dei servizi sociali.
Ma i primi risultati anche in questi settori si vedono ed il riconoscimento internazionale della nostra città non può che far ben sperare per il futuro.
I beni confiscati alle Mafie in Lombardia: vero riscatto sociale
La Lombardia è la quinta regione italiana per numero di beni immobili confiscati alla criminalità organizzata, dopo Sicilia, Campania, Calabria e Puglia.Secondo i dati dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC), nel solo anno 2016, risultano confiscati in Lombardia 1.266 immobili, ovvero il 7,2% del totale nazionale.Anche il numero delle aziende sequestrate è significativo: sempre stando ai dati dell’ANBSC le aziende confiscate sono 283, dato che fa delle Lombardia la quinta regione per entità del fenomeno, dopo Sicilia, Campania, Calabria e Lazio.Quasi il 50% dei beni immobili confiscati alla criminalità organizzata è già stato destinato agli enti territoriali.Il 41% è in gestione all’ANBSC, il resto è mantenuto allo Stato.Questi numeri molto significativi fanno certamente riflettere sulla presenza, diretta o indiretta, della criminalità organizzata nella nostra regione nel recente passato e del resto la cronaca giudiziaria di questi anni ci ha mostrato il radicamento delle mafie nella nostra regione, soprattutto a Milano e nell’hinterland.Secondo il decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (c.d. Codice antimafia), l’azione dello Stato di contrasto patrimoniale alla criminalità organizzata si articola in due grandi fasi:la prima comprende le indagini e l’attività svolta per giungere all’individuazione, al sequestro e alla confisca dei beni, la seconda concerne l’uso che lo Stato e gli enti locali fanno dei patrimoni e dei beni confiscati.La maggior parte dei beni immobili confiscati si trova nella provincia di Milano dove maggiore è la presenza della criminalità organizzata.Ecco qualche esempio, fra tanti.Gli appartamenti in centro città ottenuti con il prestito ad usura, il negozio a Baggio dove si spacciava la droga e da dove partiva il riciclaggio di denaro sporco attraverso la Svizzera, la lavanderia dove si ripulivano i divani in pelle, ma i soldi si facevano con il traffico di stupefacenti e la villa con rifiniture di lusso a pochi passi dall’Abbazia di Chiaravalle, a mostrare una fortuna raggiunta velocemente grazie ai reati più vari, dal furto, al narcotraffico, alla messa in circolazione di denaro falso.I beni confiscati dallo Stato a Milano ed in Lombardia raccontano storie di malavita organizzata, infiltrazioni mafiose, presenza sul territorio e ramificazioni anche nella politica che hanno portato negli ultimi vent’anni a decine di inchieste e di arresti.Operazioni che hanno coinvolto membri e affiliati di famiglie di spicco della criminalità organizzata, nomi noti per la loro presenza e pervicacia nel gestire attività illecite e nel conquistare fette sempre più grandi di affari, dall’import –export della frutta allo smaltimento dei rifiuti.Insomma, le mafie davvero inserite nel sottobosco della società.Attualmente il patrimonio di beni confiscati e trasferiti al Comune di Milano conta 172 unità immobiliari: 163 assegnate e 9 in fase di acquisizione da parte dell’Amministrazione.Come previsto dalla legge, il riutilizzo dei beni confiscati alla criminalità organizzata ha un fine strettamente sociale.I dati sull’utilizzo dei beni confiscati evidenziano come la prima finalità sia riconducibile ad obiettivi di politiche di assistenza sociale.Il 42% dei beni viene utilizzato per finalità di housing sociale, il 10% per finalità educative (asili, centri educativi etc), il 16% per assistenza a disabili e anziani.E’, quindi, evidente che, a latere dell’impegno nella gestione dei beni confiscati, lo Stato e gli Enti locali devono anche favorire, con bandi ad hoc, le associazioni del terzo settore che possano gestire questi beni per finalità utili alla collettività.Infatti, si tratta spesso di immobili di cui è necessaria manutenzione costante ed in alcuni casi veri e propri lavori di ristrutturazione.Sovente le associazioni che operano sul territorio e che si occupano di educazione primaria, servizi culturali o servizi sociali non hanno i fondi per la gestione straordinaria di questi beni e devono essere concretamente aiutati, direttamente o indirettamente, con sgravi fiscali.Solo così i beni confiscati alla criminalità potranno davvero essere messi a disposizione della collettività per il bene dei soggetti più deboli e bisognosi, così creando quel senso di riscatto anche simbolico di cui si sente tanto bisogno.
Le Cascine a Milano: una risorsa da valorizzare
A Milano ci sono oltre 58 cascine di proprietà comunale, spesso di antica edificazione e collocate in luoghi geograficamente molto belli della nostra città.Grazie anche all’Associazione Cascine Milano che opera dal 2009, il pubblico ha avuto modo, negli ultimi anni, di conoscere ed apprezzare queste realtà rurali che, fino a poco tempo fa, erano in stato di abbandono.L’ Associazione ha promosso iniziative ed eventi per sensibilizzare i cittadini sull’importanza di questo patrimonio dimenticato ed ha favorito relazioni con e tra le associazioni del territorio per un processo di riqualificazione architettonica e funzionale delle cascine di Milano.Due esempi virtuosi su tutti, molto noti in questi ultimi anni.Cascina Triulza, collocata in area antistante ad Expo 2015, ha rappresentato un’esperienza unica che ha visto la società civile protagonista di dibattiti, eventi e momenti di riflessione. La Cascina, infatti, ristrutturata per l’occasione, è stata tra le anime più importanti di Expo Milano 2015, un vero e proprio padiglione dedicato al terzo settore – realtà dell’associazionismo, della cooperazione, della promozione sociale, culturale e ambientale, del volontariato, della finanza etica – in cui si sono svolti incontri e dibattiti sul tema.Ancora oggi, grazie alla Fondazione Triulza, è un punto di riferimento culturale molto importante per la città.Altro esempio di positiva ristrutturazione di cascine a Milano è quello di Cascina Cuccagna, un edificio settecentesco in zona viale Umbria che è stato recuperato dall’Associazione Consorzio Cascina Cuccagna.Nella Cascina sono presenti un bar e ristorante, progettati e gestiti dall’Associazione e molto apprezzati dal pubblico, in cui è privilegiato l’utilizzo di prodotti a chilometro zero e di stagione, un ostello, un’agenzia di viaggi nella natura, una fioreria, una ciclofficina, una falegnameria, un mercato contadino che ogni martedì pomeriggio anima le corti della cascina.Nell’area eventi si tengono di giorno in giorno iniziative diverse: corsi, sportelli gratuiti per i cittadini, mercati d’artigianato, degustazioni di prodotti, incontri pubblici, mostre e altri eventi dedicati all’alimentazione, a produzioni e consumi consapevoli, al riuso e al riciclo, alla riscoperta di saperi, del territorio e delle sue risorse.Molte cascine, soprattutto nel primo hinterland, sono anche utilizzate come sede dalle associazioni del volontariato laico e cattolico e alcune mantengono un rapporto diretto con la coltivazione della terra.Altre ancora ospitano operatori nel settore della formazione e dei servizi.Ma alcune versano ancora in uno stato di semi-abbandono e di sottoutilizzo e aspettano da anni di essere recuperate e valorizzate.Le cascine comunali non rappresentano solo una risorsa formidabile di spazi da recuperare alla vita quotidiana, ma sono soprattutto una parte importante della storia della nostra comunità urbana.Una storia che racconta di famiglie legate alla terra, di comunità di cittadini che hanno vissuto con disagi e sacrifici gli anni dell’urbanizzazione, di antiche abitudini di ospitalità e accoglienza perse nel tempo insieme con il degrado delle strutture edilizie che le ospitavano.E’ proprio per valorizzare queste realtà rurali che il Comune di Milano ha messo a bando alcune Cascine, garantendo un diritto di superficie di lungo periodo all’ente che voglia prendere in gestione l’edificio ed ogni pertinenza, contribuendo anche alla ristrutturazione.Le attività previste per il futuro delle Cascine di Milano comprendono funzioni prettamente agricole (in sintonia con un’agricoltura di prossimità che non offra solo beni alimentari, ma anche formazione professionale, sbocchi sul mercato del lavoro, educazione dei bambini), funzioni legate all’ospitalità e all’accoglienza (bed and breakfast, ostelli, residence per studenti…) e naturalmente attività legate al volontariato e all’impresa sociale nel territorio, che già oggi trovano nella cascine un ambito privilegiato di espressione.Alcuni progetti sono già partiti da qualche tempo e si vedranno i frutti nei prossimi anni.Cascina Monluè, già nota ai milanesi, verrà trasformata in luogo per attività socio-culturali, con strutture di accoglienza e ristoro, laboratori e orti; Cascina San Bernardo, immersa nel Parco della Vettabbia, sarà una fattoria e un luogo di formazione culturale; Cascina Sant’Ambrogio sarà teatro di iniziative culturali e sociali, orti urbani condivisi, laboratori e mercati agricoli, ospitalità e progetti sociali.Infine, Casa Chiaravalle, il più grande bene confiscato alla criminalità organizzata a Milano, diventerà un pensionato per famiglie senza casa e un luogo per iniziative socioculturali di promozione della legalità.Per sostenere questi progetti e far sì che divengano realtà vive occorrono fondi e spesso le associazioni che gestiscono gli edifici non hanno grandi mezzi economici.Occorre, quindi, che sia gli investitori privati sia il pubblico, per quanto possibile, aiutino concretamente il mondo dell’associazionismo, consentendo di valorizzare un patrimonio storico e culturale della nostra città che potrà dare molti frutti in futuro.
Tempo di libri a Milano
Dal 19 al 23 aprile 2017 a Milano Fiera si è svolta l’attesa prima edizione di Tempo di libri, la nuova fiera dell’editoria, fortemente voluta dall’Associazione Italiana Editori che la organizza insieme a Fiera Milano (è nata appositamente La Fabbrica del Libro), con l’appoggio del Comune.Come si legge nella presentazione ufficiale, Tempo di libri si pone come una manifestazione all’insegna “dell’apertura e dell’inclusività”, in un settore cardine del nostro paese, come quello dell’editoria in cui alle molte offerte di vario di genere non sempre corrispondono soddisfazioni economiche per gli editori.A Tempo di libri, gli editori sono stati volutamente coinvolti direttamente nella definizione del programma, non come soggetti esterni, ma come veri e propri consulenti; gli autori hanno risposto con curiosità ed entusiasmo all’invito a partecipare a incontri che escono dalla routine della presentazione di un libro; i lettori non sono mancati, anche se per avere un quadro completo dei numeri degli ingressi si dovrà attendere qualche giorno.Nei padiglioni della fiera (l’1, riservato al MIRC, il 2 e il 4), infatti, in cinque giorni si sono svolti 720 appuntamenti, ospitati da 17 sale adibite agli incontri più un auditorium da 1000 posti, per un totale di 35mila metri quadrati di spazi e oltre 400 espositori tra case editrici, riviste, associazioni, biblioteche, librerie, enti pubblici e start up.Il programma è nato dalla collaborazione tra quattro curatori (Chiara Valerio per il programma generale, Pierdomenico Baccalario per 0-18, Giovanni Peresson per il programma professionale e Nina Klein per i percorsi digitali) e il Comitato Scientifico coordinato da Renata Gorgani, presidente della Fabbrica del Libro.L’elenco degli ospiti ha compreso circa 2000 autori, tra cui importanti nomi della letteratura contemporanea, come – per citare solo qualche italiano illustre- Corrado Augias, Gianrico Carofiglio, Carlo Lucarelli, Maurizio Maggiani, Michela Murgia, Francesco Piccolo, Roberto Piumini, Massimo Recalcati e molti altri.Sullo sfondo, per tutti questi giorni, c’è stata una sottile competizione con il Salone del Libro di Torino, con la sindaca Chiara Appendino che sabato scorso ha fatto un giro a Tempo di libri, come per stemperare le note polemiche di questi ultimi mesi.Insomma, al di là dei numeri che verificheremo nelle prossime settimane, il “numero zero” di Tempo di libri è stato ben organizzato ed ha riscosso un buon successo tra gli editori.Il problema, ad avviso di chi scrive, è un altro ed attiene al numero dei lettori in Italia ed alla somma pro capite che si investe nell’acquisto dei libri.E, in questo ambito, i passi da fare sono ancora moltissimi ed i numeri parlano chiaro.Secondo il Rapporto sullo Stato dell’editoria in Italia dell’Associazione Italiana Editori 2016, il mercato italiano dei libri italiano nel 2015 è calato del 4,3 per cento: complessivamente, negli ultimi quattro anni il mercato ha perso quasi l’11,5 per cento del proprio valore, passando da 2,15 miliardi di euro a 1,90.Non possiamo non evidenziare come il numero di lettori e soprattutto il numero di libri acquistati pro capite siano diminuiti sensibilmente negli ultimi anni, pur a fronte di un aumento di circa il 10% degli autori.Il problema non è solo italiano, ma segue un trend europeo purtroppo già da alcuni anni.Occorre, quindi, una sensibilizzazione alla lettura attenta e argomentata che riguardi soprattutto i giovani e i giovanissimi, anche stando al passo con i tempi, ovvero sfruttando le nuove tecnologie con gli e-book.Anche gli eventi di presentazione e commercializzazione editoriale devono essere curati e contenere, al loro interno, ampi spazi di dibattito che invoglino il visitatore ad approfondire gli argomenti, diventando lettore.Questo discorso vale in particolar modo per la saggistica, settore editoriale più raffinato che sicuramente sente maggiormente la crisi del libro.Insomma, il lavoro da fare per rendere gli italiani, soprattutto i più giovani, un popolo di lettori è lento e complesso e certamente parte da un’opera educativa della scuola in primis e del mondo della cultura in generale.Altrimenti, non sarà ancora Tempo di libri, nonostante la buona riuscita della Fiera di
Design e solidarietà: a Milano si può
Via dei Transiti, a due passi da via Padova, è quasi nascosta ai passanti, ma si trova al centro di un quartiere con un passato di tradizione popolare meneghina ed un presente ed un futuro multietnico.Un crocevia di tradizione e modernità, con tanti problemi, a tutti noti, ma altrettante risorse e possibilità di sviluppo. NoLo (North of Loreto) è stata ribattezzata la zona, con un acronimo modernista, nel tentativo di far emergere l’identità più autentica del quartiere, fuori dagli stereotipi che classificano e giudicano le periferie delle grandi città. Il Fuorisalone, il grande evento legato al Salone del Mobile che apre le porte della città ad artisti e designer, è arrivato sin qui, gettando le basi per quello che nei prossimi anni dovrebbe diventare uno dei nuovi Distretti della settimana del design.Un primo passo in questa direzione lo ha compiuto, per l’edizione 2017, appena conclusa, l’associazione T12-lab, nata da un team di architetti, editori e project manager per realizzare progetti inclusivi che coinvolgono differenti etnie, territori, culture, unendo arte e socialità.Tra le varie attività portate avanti dall’associazione anche i laboratori dedicati alle categorie più fragili al fine di includere il più possibile, anche in progetti artistici, quelle fasce della popolazione che si trovano, per problemi fisici, psicologici, economici, ai margini della società.Ed è da alcuni di questi laboratori che è nato Market For All, un progetto e un allestimento di oggetti particolari realizzati da un team composto da studenti di product design della Naba (Nuova Accademia Belle Arti di Milano) insieme a persone sorde, collegate alle attività della Fondazione Pio Istituto dei Sordi e al servizio all’integrazione No Barriere alla Comunicazione del Comune di Milano, con la partecipazione di profughi africani, attraverso il supporto di Nandreè Abareka Onlus. Il percorso espositivo allestito nello show room di via dei Transiti parte dall’idea dello scarto declinato in due significati diversi: gli scarti dei materiali e gli “scarti dell’umanità”, quanti appartengono a quelle fasce di società che il nostro sistema occidentale e non solo tende a tenere ai margini, con ciò creando sacche di emarginazione e solitudine.Ed anche i luoghi espositivi sono esemplificativi di questo significato.Gli oggetti di Market For All, prima ancora di approdare nei locali dell’associazione, sono stati presentati al Mercato Comunale di viale Monza, un luogo di relazione e di conoscenza tra gli abitanti della zona che appartengono ad etnie differenti.
E dove si può fare emergere il lato più autentico delle persone: umanità, talento, creatività oltre ogni etichetta, la disabilità o la paura dello straniero. E’ quanto emerge dagli oggetti esposti che interpretano un modo diverso di stare a tavola, meno convenzionale: così i cucchiai “piatti” scartati dalle fabbriche si incastrano su colonne di legno, pezzi di forchette diventano posate diverse per infilzare le olive da aperitivo. Accessori da tavola, originali e divertenti, pensati per permettere e favorire il dialogo tra i commensali, strumenti moderni di condivisione sociale.Allo stesso modo è stato pensato il “carretto del dialogo”, ricavato da lastre di legno compensato e vecchie biciclette e creato sul modello dello street food per portare in giro per il quartiere le idee progettuali e quelle creative.E’ bello pensare che, anche fisicamente, questa esposizione è vicina al Refettorio Ambrosiano, creato agli inizi del 2015, nato dalle intuizioni dello chef Massimo Bottura e del regista Davide Rampello, che da subito hanno coinvolto la Diocesi di Milano e in particolare la Caritas per tradurre in concreto questa originale idea di solidarietà alla quale si sono unite le eccellenze dell’arte, della cultura e della cucina.Il Refettorio ha sede nell’ex teatro annesso alla parrocchia San Martino nel quartiere Greco, una sala risalente agli anni ‘30 e ormai in disuso, spazio dalle pregevoli linee architettoniche completamente ristrutturato e trasformato in un refettorio aperto alla solidarietà.Il Refettorio, grazie anche a finanziatori del progetto, ha distribuito, in questi due anni, circa novanta pasti al giorno ed è un esempio davvero importante della solidarietà ambrosiana in questi tempi difficili.Insomma, a Milano, in questi anni, bello e solidarietà verso chi è meno fortunato provano a coesistere, in un insieme virtuoso che deve essere un futuro motore della nostra città.
Giornata del verde pulito 2017: grande impegno di comuni e cittadini
Rispettare e tenere pulita la propria città, salvaguardarne il territorio in tutte le sue componenti, evitare l’abbandono indiscriminato dei rifiuti, sono tutti comportamenti che denotano un alto senso civico, un profondo sentimento d’appartenenza alla propria realtà territoriale e la volontà di partecipare attivamente ad un progetto comune di tutela e salvaguardia di un bene che è patrimonio di tutti.Bene che, negli ultimi decenni, è messo sempre più in pericolo da una cementificazione di massa, da un’industrializzazione capillare e dalla produzione sempre più intensa di rifiuti di vario genere, sia industriali sia privati.La consapevolezza dell’importanza dell’educazione al rispetto dell’ambiente e del territorio nonché alla gestione attenta di qualsiasi tipo di rifiuto è certamente in aumento, soprattutto nelle fasce più giovani della popolazione, ma molto lavoro è ancora da fare, soprattutto in fase di educazione e prevenzione.Ogni anno, una domenica primaverile, viene indetta questa giornata particolare: quest’anno sarà il prossimo due aprile.La “Giornata del Verde Pulito” è un significativo momento per l’affermazione di questi valori: istituita dalla Regione Lombardia nel 1991, tale manifestazione intende sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi della tutela ambientale, mediante iniziative dirette a ripulire e migliorare la qualità delle aree verdi di proprietà pubblica o soggette a fruizione pubblica.Dopo l’esempio della Lombardia, altre regioni hanno formalmente indetto questo appuntamento annuale, ma non ancora tutte: sarebbe bello che nei prossimi anni tale giornata fosse nazionale e coinvolgesse davvero tutte le realtà comunali italiane.I primi anni dopo la sua introduzione questa giornata era riservata agli addetti ai lavori, alle associazioni ambientaliste e non riguardava direttamente i cittadini.Da alcuni anni a questa parte, invece, protagonisti di questa giornata sono i Comuni che aderiscono alla manifestazione i quali, attraverso il coinvolgimento di volontari, associazioni ambientaliste e cittadini, grandi e piccoli, prendono coscienza della necessità della salvaguardia del verde pubblico. Vengono previsti in molte realtà comunali, anche le più piccole, interventi di raccolta dei rifiuti abbandonati nelle aree verdi, di sistemazione del verde tramite interventi di sfalcio, potatura, rastrellatura e ripiantumazione, di qualificazione delle aree verdi attraverso l’installazione di cestini portarifiuti, tabelle comportamentali o informative in genere, accompagnati da iniziative di sensibilizzazione sui comportamenti da adottare per ridurre l’impatto dell’attività umana sull’ambiente naturale.Migliaia i cittadini impegnati e, soprattutto, moltissime le associazioni ambientaliste e non solo che coordinano la buona volontà dei volontari per raggiungere lo scopo prefissato.In effetti, anche in questo ambito come già abbiamo avuto modo di affrontare in altre occasioni su questo giornale, è davvero sempre più pregnante il ruolo dell’associazionismo in Italia che si fa collettore di tante esigenze della società civile, sia per risolvere tante problematiche contingenti (dall’ambiente alla sicurezza, dall’educazione al mantenimento del patrimonio culturale) sia per coordinare il sempre più frastagliato e numeroso mondo del volontariato.Accanto a Legambiente, Touring Club Italiano, Club Alpino Italiano, Fondo Ambiente Italiano, per citare solo alcune delle storiche grandi associazioni cui dobbiamo gran parte della salvaguardia e della manutenzione non solo del nostro territorio, ma anche del patrimonio artistico e museale, vi sono nel nostro paese centinaia di associazioni che operano soprattutto a livello locale e che costituiscono il motore trainante del cosiddetto terzo settore.Anche in occasione della giornata del verde pulito, sono proprio queste associazioni, vicine al territorio ed alla sua gente, a coordinare le operazioni di pulizia, di rimessaggio e riordino di parchi, giardini, alvei di fiumi, rive, sponde e aree verdi.E poi ci sono i cittadini, grandi e piccoli che dedicano il loro tempo alla pulizia dell’ambiente e del territorio, ben sapendo che la terra è di ciascuno di noi, tutti ne rispondiamo e tutti ne siamo danneggiati se è brutta, sporca, inquinata.Tutto questo insieme di forze positive che operano non solo nella giornata del verde pulito, ma in molte occasioni durante l’anno sia da monito per tutti noi e ci spinga, a nostra volta, a fare attenzione al mondo che ci circonda, limitando, per quanto possibile, rifiuti inutili e sostanze inquinanti, rispettando la raccolta differenziata e adottando, nella vita quotidiana, quei comportamenti più rispettosi dell’ambiente e della natura che ci circonda.E’ una scommessa a medio, lungo periodo e soprattutto le giovani generazioni dovranno portarla avanti, ogni giorno dell’anno.
Papa Francesco a Milano, ripartire dalle periferie
Ricordano proprio «Le due città» di Dickens: la Milano elegante e scintillante della Settimana della moda, del Salone del mobile, di Brera e dei Navigli e la Milano dove 13 mila bambini si trovano a vivere in condizioni igieniche poco dignitose, non vanno a scuola e non sono seguiti dai servizi sociali che spesso arrancano a star dietro ai problemi di chi ha bisogno
Le due città vivono su rette parallele, rischiando davvero di non incontrarsi mai e creando uno scollamento tra mondi diversi che genera marginalizzazione, degrado, violenza.
E’ proprio in questo contesto che si inserisce la visita di Papa Francesco del 25 marzo prossimo ed il Papa ha desiderato dedicare due momenti fondamentali della sua visita proprio agli ultimi ed ai disagiati, visitando il quartiere popolare delle “Case Bianche” di via Salomone ed il Carcere di San Vittore.
Due simboli della periferia: quella fisica e quella “dell’anima” e spesso le due cose coesistono.
Non è un caso che Francesco inizi la sua visita dalle Case Bianche, un complesso di edilizia popolare degli anni settanta alla periferia est tra piazza Ovidio e via Salomone in cui convivono problematiche sociali di vario genere, dalla delinquenza alla povertà all’immigrazione.
Si tratta di una zona abbastanza degradata dove però si reagisce: la parrocchia è attivissima con un Centro Caritas molto impegnato e una piccola comunità di suore vive in appartamenti delle case popolari insieme alla gente comune.
E’ bello pensare che Francesco, su sua espressa richiesta, incontrerà tre nuclei familiari nelle loro abitazioni, così condividendo le loro sofferenze e le loro aspettative ed è significativo che una famiglia, con parecchi bimbi piccoli, sia di religione musulmana.
Il Papa, quindi, si recherà a San Vittore, mostrando la sua particolare vicinanza al mondo della sofferenza e del carcere.
La visita a San Vittore avrà come momento centrale proprio un pranzo condiviso, cucinato dai detenuti ed il Papa ha richiesto di visitare tutti i raggi, anche quelli di massima sicurezza, per rendersi conto approfonditamente della situazione del Carcere.
Tale attenzione al mondo carcerario è un dato davvero positivo della Chiesa ambrosiana che ha visto nelle parole e nei gesti di Carlo Maria Martini un illuminato esempio.
Insomma, dalla periferia fisica a quella esistenziale: sembra proprio che Francesco, il papa argentino delle periferie, voglia sottolineare questa particolare attenzione anche nella sua visita a Milano.
La nostra città ha sempre avuto una forte sensibilità sociale e, in particolare in questi anni di crisi economica, sono davvero tantissime le associazioni, laiche e religiose che si dedicano all’aiuto dei più bisognosi.
I dati, tuttavia, rimangono allarmanti.
Dalla Caritas Ambrosiana che fa girare a pieno regime una macchina dell’assistenza di 1.500 operatori e 7 mila volontari, dicono che quella di 13 mila bambini sotto la soglia di povertà è un dato purtroppo non solo veritiero, ma addirittura quantificato per difetto.
Nelle parrocchie della diocesi di Milano ci sono 320 Centri di ascolto cui si rivolgono circa 60 mila persone. Forse non per tutte, ma di certo per molte, il «pacco alimentare» è un aiuto prezioso.
Il vero problema è che queste persone in bilico sulla soglia della povertà, gli «equilibristi», come li chiama l’annuale rapporto della Caritas, sono in aumento.
Dal 2008, anno ufficiale di inizio della crisi, gli italiani che si rivolgono ai Centri sono aumentati del 47,6%, con una crescita annua media del 5,7%.
Fra gli assistiti, gli italiani sono una minoranza, il 37%, ma nello stesso periodo il loro numero è cresciuto del 21,6%.
La Caritas recupera le eccedenze alimentari, il cibo inutilizzato che altrimenti finirebbe nella spazzatura, anche con quel grande progetto del Refettorio Ambrosiano di cui abbiamo parlato le scorse settimane.
Insomma, Milano, pur con i suoi grandi problemi di povertà, ha un cuore grande e concreto: auguriamoci che la visita del Papa delle periferie dia linfa vitale a questo cuore, contribuendo ad una società più uguale, più giusta e più armoniosa.
La festa della donna, un po’ di storia ed il significato attuale…
La Giornata Internazionale della Donna, in Italia comunemente conosciuta come Festa della Donna, ha compiuto nel 2009 il suo primo centenario.Le sue origini risalgono all’inizio del secolo scorso: la prima Giornata Nazionale della Donna fu festeggiata il 28 febbraio 1909 negli Stati Uniti, su invito del Partito Socialista Americano, che aveva designato questa data in memoria dello sciopero di migliaia di camiciaie newyorkesi che nel 1908 avevano rivendicato migliori condizioni di lavoro. Nel 1911 Germania, Austria, Danimarca e Svizzera furono le prime nazioni europee a celebrare la Giornata della Donna. Rivendicazioni salariali, diritto di voto e di esercizio di pubbliche funzioni, eliminazione delle discriminazioni erano i temi al centro del dibattito, al quale parteciparono più di un milione di persone, tra uomini e donne.In ogni caso, dopo questi primi anni, la Festa della Donna è stata stabilita per l’8 marzo e ha assunto rapidamente dimensioni globali.In Italia la prima Giornata Internazionale della Donna è stata festeggiata il 12 marzo 1922, ma si deve aspettare il 1946 per la comparsa del suo simbolo, la mimosa.L’Italia si preparava a festeggiare il primo 8 marzo del Secondo Dopoguerra e per l’organizzazione dell’evento si era fatta avanti l’Unione Donne Italiane, associazione femminile nata nel 1944 e tuttora impegnata in attività di difesa e promozione dei diritti della donna.L’Unione Donne Italiane, in particolare, era alla ricerca di un fiore che potesse contraddistinguere la Giornata. L’idea della mimosa fu proposta da Teresa Noce, Rita Montagnana e Teresa Mattei.
Il fiore aveva tutte le caratteristiche ideali per diventare il simbolo della Festa della Donna: la sua fioritura avviene proprio nei primi giorni di marzo e i suoi costi sono sempre stati piuttosto contenuti. Il giallo oltre ad esprimere vitalità, forza e gioia è il colore che rappresenta il passaggio dalla morte alla vita e diventa una metafora per ricordare le donne che si sono battute per l’uguaglianza di genere.Fin qui la storia, certamente gloriosa, di una giornata che ha avuto ed ha tuttora un significato davvero importante da un punto di vista sociale.Ma una domanda sembra da affrontare: ha ancora senso celebrare questa festa, oggi nel 2017, quando la retorica ed il consumismo sembrano permeare un po’ tutte queste occasioni e cerimonie? La risposta, ad avviso di chi scrive, è certamente affermativa, ma ad un’unica, tassativa condizione. Ovvero che l’otto marzo sia depurato da ogni retorica finta o commerciale e che diventi davvero l’occasione per riflettere circa la questione di genere in Italia e nel mondo. Questione che, a sua volta, deve essere affrontata senza retorica giornalistica o pretese di arroccamento sessista, mirando al cuore dei problemi che ancora mostrano come quella odierna, in Italia e nel mondo, sia ancora oggi una società diseguale per quanto concerne la questione di genere. Solo qualche rapido accenno. Pensiamo alla scarsa rappresentatività femminile in politica, nei posti dirigenziali della Pubblica Amministrazione, nei Consigli di Amministrazione delle società private (nonostante i correttivi di legge imposti in questi anni). Pensiamo al gap reddituale, intercorrente tra uomini e donne a parità di posizione, in quasi tutti i settori produttivi, sia nel pubblico sia nel privato. E pensiamo, soprattutto, alla difficoltà, per la madre lavoratrice, di conciliare la vita privata e quella professionale, spesso in assenza di servizi essenziali che tutelino il doppio ruolo femminile e con notevoli sacrifici economici.Infine, come non ricordare i dati drammatici delle violenze di genere, spesso neppure denunciate e che sovente avvengono all’interno delle mura domestiche.Insomma, la Festa della Donna deve essere una riflessione concreta e non retorica su tutte queste problematiche che riguardano le donne, ma non solo, essendo strettamente legate al benessere ed all’equilibrio della società attuale.Solo se queste riflessioni prenderanno forma e concretezza alla ricerca di una vera parità di genere, in tutti settori della società, dalla famiglia al mondo del lavoro, la Festa della Donna, le mimose come simbolo, i festeggiamenti e gli auguri avranno un senso, altrimenti rimangono vuota retorica che non porta a nulla di buono.
Sia otto marzo tutti i giorni per far sì che, auguriamoci, fra qualche decennio l’otto marzo non abbia più ragione di esistere se non come festa in ricordo di tante battaglie passate.
Inquinamento a Milano, una questione culturale
Milano, nel 2016, ha superato, per oltre 100 giorni, il cosiddetto “tetto dell’inquinamento” che viene considerato quando, nell’aria, vi sono concentrazioni superiori a 50 microgrammi per metro cubo di polveri sottili PM10.Questi i dati di Legambiente, confermati dagli ultimi dati aggiornati dall’Amat (Agenzia mobilità ambiente e territorio di Milano).L’associazione ambientalista ogni anno, mediante la campagna di monitoraggio «PM10 ti tengo d’occhio», stila la classifica dei capoluoghi di provincia che hanno superato, con almeno una centralina urbana, la soglia limite giornaliera di 50 microgrammi per metro cubo di polveri sottili.Nel redigere questa classifica, viene presa come riferimento la centralina peggiore (quella che ha registrato il maggior numero di superamenti fino a questo momento) presente nella città, a partire dai dati disponibili sui siti delle Regioni, delle Arpa e delle Province. Il problema è noto da tempo e le soluzioni non sono facili in assenza di un cambiamento nelle condizioni meteorologiche, soprattutto in occasione di lunghi periodi di alta pressione in assenza di vento, in cui le polveri stagnano, soprattutto in zone in cui vi è poco ricambio d’aria, come nel caso della Pianura Padana.In effetti la qualità dell’aria è peggiorata drasticamente negli ultimi due mesi a causa della totale assenza di pioggia e vento, tanto che a Milano si sono registrati 20 giorni consecutivi di superamento dei limiti, una sequenza negativa (questa sì) davvero rara. In tale situazione emergenziale relativamente all’inquinamento, non sembra plausibile, come da alcune parti saltuariamente si propone, una revisione di “Area C”, la congestion charge operativa nella cerchia dei Bastioni durante i giorni feriali: la misura si è rivelata, infatti, comunque deflattiva del passaggio di una buona percentuale di veicoli in centro a Milano, con conseguente importante riduzione delle polveri.Dalla scorsa settimana, è stato incrementato il numero dei veicoli per i quali è vietato l’ingresso in Area C, con alcune eccezioni e proroghe solo per quanto riguarda i residenti.La misura, introdotta nel 2012 dalla Giunta Pisapia, ha dato buoni risultati in cinque anni, soprattutto con riguardo al traffico ed alla vivibilità del centro storico.I risultati in punto di quantità di polveri sottili non sono così evidenti, permanendo la problematica del traffico urbano fuori dalla cerchia Area C e, soprattutto, l’inquinamento dovuto al riscaldamento di case ed uffici.Va detto che anche i mezzi pubblici, soprattutto la metropolitana con le quattro linee operative che coprono una gran parte del territorio urbano funzionano con sempre maggiore puntualità: sembra proprio che quasi tutte le zone di Milano e del primo Hinterland siano raggiungibili con relativa semplicità ricorrendo al trasporto pubblico di superficie o sotterraneo.Tralaltro la recente modifica, da parte di ATM, degli orari di partenza mattutina della linea rossa ha indubbiamente reso un buon servizio ai pendolari di prima mattina, diminuendo l’afflusso e la ressa nelle prime corse.La questione, ad avviso di chi scrive, è a questo punto più culturale che normativa e, quindi, ben più difficile da risolvere.Due piccoli esempi, frutto dell’esperienza quotidiana di ciascuno.Ciascun lettore può compiere da sé una breve statistica ed appurare che gran parte di coloro che sono alla guida di un’autovettura a Milano sono da soli in auto, così davvero congestionando il traffico, non sfruttando a pieno le potenzialità del mezzo inquinante ed aumentando esponenzialmente le polveri sottili.Inoltre, nel periodo freddo, è altrettanto innegabile lo spreco di riscaldamento di molte strutture commerciali e dei grandi magazzini: ulteriore concentrato di polveri che non fanno altro che aggravare la situazione già complessa.E non è questione di norme, di regole né di controlli, come ben si può appurare da questi piccoli esempi.
E’ questione di consapevolezza del cittadino che deve far propria l’idea che l’inquinamento sia un danno davvero per tutti, in particolare per quanti sono cagionevoli di salute, anziani o bambini e che, quindi, ogni comportamento che spreca volutamente energia aumentando le polveri sottili è un grave disvalore sociale.Senza questa presa di coscienza, di ciascuno di noi, ogni misura normativa per limitare l’inquinamento urbano sarà semplicemente un piccolo palliativo che non potrà in alcun modo risolvere il problema.
Refettorio ambrosiano e ristorante solidale, due esempi virtuosi
I dati sulle povertà, soprattutto nelle grandi città come Milano, fanno riflettere nella loro complessità.Secondo l’ultimo Rapporto sulle povertà, realizzato da Caritas Ambrosiana, dal 2008 al 2015 sono aumentate di circa un terzo le persone che hanno chiesto il pacco viveri ai centri di ascolto di Milano e della diocesi ambrosiana. Si stima, invece, che in Italia venga gettato via il 25% del cibo acquistato ogni settimana, pari ad un valore di 1600 euro all’anno a famiglia, l’equivalente di un mese di stipendio di medio livello. Lo spreco alimentare, prodotto dagli italiani solo all’interno delle mura domestiche, vale 8,7 miliardi di euro, ovvero oltre mezzo punto di PIL nazionale.Chi è costretto a risparmiare sul cibo e chi il cibo lo spreca: una contraddizione che ha spinto, nel 2015, la Diocesi di Milano e la Caritas Ambrosiana a promuovere il progetto “Refettorio ambrosiano”, un nuovo servizio offerto a chi si trova in difficoltà e insieme un gesto educativo nei confronti del cibo e dell’esperienza umana del nutrirsi, tematica di riferimento di Expo 2015.Il Refettorio ambrosiano, creato agli inizi del 2015, è nato dalle intuizioni dello chef Massimo Bottura e del regista Davide Rampello, che da subito hanno coinvolto la Diocesi di Milano e in particolare la Caritas per tradurre in concreto questa originale idea di solidarietà alla quale si sono unite le eccellenze dell’arte, della cultura e della cucina.Il Refettorio ha sede nell’ex teatro annesso alla parrocchia San Martino nel quartiere Greco di Milano, un sala risalente agli anni ‘30 e ormai in disuso, spazio dalle pregevoli linee architettoniche completamente ristrutturato e trasformato in un refettorio aperto alla solidarietà.Il Refettorio, grazie anche a finanziatori del progetto, ha distribuito, in questi due anni, circa novanta pasti al giorno ed è un esempio davvero importante della solidarietà ambrosiana in questi tempi difficili.Ma la lotta contro lo spreco non si ferma ed è di queste settimane la creazione del cosiddetto “Ristorante solidale”, ovvero un sistema di distribuzione dei cibi sprecati dai ristoranti ma ovviamente commestibili che possono essere di grande aiuto per chi ne ha bisogno.L’iniziativa è stata pensata e sviluppata da Just Eat, azienda attiva nel mercato dei servizi per ordinare pranzo e cena a domicilio, con la società Pony Zero e la Caritas Ambrosiana come partner e il patrocinio del Comune di Milano.Al progetto si è arrivati anche dopo aver condotto un’indagine su un campione di 500 ristoranti affilati a Just Eat da cui emerge come per l’83% dei ristoranti la problematica dello spreco sia un tema importante su cui il 77% di loro ritiene di poter contribuire attivamente.Significativo notare come i ristoranti buttino via parecchio cibo, il 24% ogni giorno, il 26% più di una volta alla settimana e il 50% una volta alla settimana.L’iniziativa, presentata a Palazzo Marino la scorsa settimana, è già partita: le prime consegne nei giorni scorsi, con 38 pasti portati a tre comunità milanesi di Caritas e 100 pizze donate appunto al Refettorio Ambrosiano.Per ora la consegna dei pasti avverrà una volta al mese, ma non si esclude che si possa incrementare l’offerta e allargare l’iniziativa ad altre città, come Roma e Torino.Tutto questo sarà facilitato dalla legge 166 del 2016, la cosiddetta anti-spreco, che prevede agevolazioni fiscali per chi recupera e dona cibo, per la quale si attendono i decreti attuativi. Le 3 comunità di accoglienza cui è destinato il pasto caldo del ‘Ristorante solidale’ sono ‘Pani e Peschi’, una casa per gli adolescenti milanesi che soffrono di disagi psichici, ‘Casa alloggio Centro Teresa Gabrieli’, che accoglie pazienti affetti da HIV e ‘La Locomotiva’, comunità a dimensione familiare per minori. Insomma, la lotta allo spreco come motore per la solidarietà ambrosiana: un bell’esempio, anche simbolico, di senso civico e solidarietà di cui abbiamo tutti grande bisogno.