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Art. 27, comma 3: “Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”

2 luglio 2017 di Valentina Burlando

Un chilometro di corridoio su cui spicca la riproduzione della struggente “Guernica” di Picasso, ma niente sbarre né cancelli. Si presenta così l’ingresso del carcere milanese di Bollate, dove inizia la storia di Pino Cantatore e della cooperativa sociale Bee4, che dal 2013 dà ai detenuti una seconda opportunità. «Tutto comincia nel 1993 a San Vittore con una condanna in via definitiva alla pena dell’ergastolo. Durante la carcerazione ho ripreso gli studi informatici» e «attraverso i libri e il lavoro ho ricomposto il puzzle della mia vita», racconta Cantatore. Gli anni passano, la pena viene ridotta a 30 anni e nel 2012 arriva la semi-libertà. Nel 2013, grazie a quelle congiunzioni astrali che la vita a volte ti offre, nasce Bee4 cooperativa sociale onlus. Il nome ne racchiude già lo scopo: aiutare i più deboli a ricostruirsi. Niente assistenzialismo, ma reinserimento sociale attraverso l’educazione al lavoro: “Più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l’educazione” scriveva l’illuminista Cesare Beccaria. Bee4 sceglie Bollate, perché nel cittadino San Vittore «mancava stabilità per l’elevato turn over dei detenuti». Al principio tutto è partito con un laboratorio adibito a controllo qualità, nella sezione femminile: «Avevamo tre dipendenti, oggi solo per questa attività sono in venti, tra interno e esterno del carcere». Del resto, l’“area industriale” di Bollate è un luogo di lavoro a tutti gli effetti. Sembrerebbe un’utopia, invece è il modello di business che Bee4 propone alle imprese, che raramente conoscono l’opportunità di investire nel carcere. «Quando un’azienda decide di aprire un’attività in carcere diffondiamo una sorta di bando con l’indicazione delle caratteristiche richieste. Quindici giorni dopo con la lista dei “candidati” iniziamo la selezione. Presentiamo al committente una rosa di possibili nuovi assunti e, se approvata, si avvia la formazione. Contrattualmente i detenuti vengono trattati come dipendenti di un’azienda esterna. Ci rifacciamo al contratto nazionale delle cooperative sociali: 13 mensilità, ferie, permessi, contributi e uno stipendio mensile variabile dai 1.000 ai 1.400 euro, a seconda che si lavori nel week-end», spiega Cantatore. Lo stipendio ha un valore altissimo per il detenuto, che può mantenersi e, in caso, aiutare la famiglia. «Ci occupiamo anche delle procedure burocratiche per l’utilizzo degli spazi, il cui costo di allestimento viene solitamente suddiviso con il committente», racconta il fondatore della onlus, sottolineando l’importanza del percorso attraverso cui riprendono forma concetti come “regole” e “responsabilizzazione”: «Arrivano ragazzi che non hanno mai lavorato, e in maniera provocatoria dico loro di applicare sul lavoro la medesima serietà che mettevano in una rapina». Bee4 gestisce due call center, un laboratorio per la riparazione delle macchine da caffè ed uno per il controllo qualità, per un totale di 91 dipendenti: «Abbiamo anche un capannone a Cologno Monzese per seguire le persone nel post-pena: quattro ex detenuti lavorano ancora con noi, per me è un’enorme soddisfazione». A Bollate, dove sembra che l’umanità resti fuori, si coltivano invece germogli di una cultura nuova, dove i detenuti si trasformano da costo in risorsa.

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Archiviato in: Blogging Etichettato con:Art.27, Penitenziario di Bollate

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